
Nella foto: Marco Filippi,senatore PD
Roma, 9 giugno 2014 – RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
A proposito della riforma dei porti italiani, da tempo stiamo assistendo all’irruzione regolare di taluni interventi nell’informazione confusi e prossimi al gossip da bar, coinvolgendo artatamente persone e presumendo fantasiosamente congiure e alleanze inesistenti. Al di là delle differenze di posizione che ognuno legittimamente può avere, in questo momento particolarmente difficile e delicato, mantenere il livello del confronto e dei ragionamenti sui fatti e sui dati reali è un atto di responsabilità necessario a salvaguardare la dignità stessa della portualità italiana, fatta dal lavoro e dall’impegno quotidiano, a qualsiasi livello e titolo, delle persone che ne fanno parte. L’informazione distorta, perché disinformata o perché oggetto di manipolazione, sulle vicende inerenti il processo di decisione istituzionale che si sta sviluppando intorno alla organizzazione e alla governance della portualità e della logistica italiane, può impedire il confronto consapevole e la condivisione delle scelte di cui il settore ha bisogno per competere e crescere e che dovranno essere prese nei prossimi mesi. Ecco il motivo del mio intervento, con il quale mi auspico possano chiarirsi definitivamente alcune questioni delicate, ricostruendo correttamente quanto fatto negli ultimi mesi.
La chiara volontà di dare risposte concrete espressa con la scelta della procedura abbreviata in Commissione Trasporti e Infrastrutture del Senato per l’esame della legge di riforma sui porti, ormai all’approdo alla Camera, da novembre scorso è in stallo in conseguenza delle dichiarazioni del Ministro Lupi. La Commissione non ha potuto proseguire i lavoro di licenziamento del testo del disegno di legge in esame che sarebbe stato di orientamento completamente diverso da quello del Ministro, come egli ha più volte dichiarato senza tuttavia tradurlo in atto concreti.
Nell’assoluta consapevolezza che una riforma della Portualità non si fa se non con il consenso più ampio possibile degli interlocutori e di certo non con la contrarietà del Governo, in questi mesi, con gli esponenti PD della Commissione Trasporti della Camera, l’On. Tullo e il Presidente Meta, e la responsabile nazionale del settore, la Presidente Serracchiani, ci siamo impegnati in un lavoro di riallineamento delle posizioni tra Governo, Parlamento e forze politiche di maggioranza.
Le questioni più divisive, oggetto di serrato confronto sul tavolo ministeriale, sono essenzialmente tre: la definizione di uno strumento di pianificazione ministeriale e di governo del sistema della portualità italiana; la classificazione portuale e il numero delle relative autorità; l’integrazione logistica portuale, che a mio modo di vedere, costituisce la vera riforma della Portualità italiana.
Per recuperare la competitività necessaria ai nostri scali, riteniamo essenziale che il sistema portuale italiano disponga di uno strumento di pianificazione e di governo nazionale in grado di selezionare priorità e indicare specifiche missioni in una visione di sistema, superando frammentazioni, divisioni e duplicazioni, che sappiamo tutti essere dispersive e implosive.
A nostro modo di vedere, il futuro Piano Nazionale della Portualità e della Logistica dovrà rispondere principalmente a questo scopo. Superando la mera ricognizione delle opere necessarie, esso dovrà essere inserito a pieno titolo nella disciplina della legge obiettivo e ricompreso, in una specifica sezione dell’allegato infrastrutture, al documento di economia e finanza approvato ogni anno dal Parlamento.
Sulla classificazione portuale, abbiamo condiviso che il nostro sistema abbia un ancoraggio programmatorio e regolamentare solido, recependo quanto individuato dall’Unione Europea, che identifica per il nostro paese 14 porti appartenenti alla rete Core o centrale e 25 porti alla rete Comprensive o periferica. In questo senso, abbiamo ritenuto condivisibile che tutti i 39 porti in questione avessero comunque un analogo regime normativo e regolamentare, indipendentemente dalla natura del livello di governo.
Abbiamo ritenuto comprensibile che anche il settore della Portualità non sia estraneo al regime della “spending review”, ma alla condizione che comunque ne sia contestualmente garantito un nuovo modello di sviluppo e di crescita. Semplificare e razionalizzare si può e si deve anche per i porti, ma questo processo non può essere disgiunto da un processo di crescita e di rilancio della portualità…altrimenti sono solo tagli!
Ma è necessario superare il problema dell’indisponibilità di adeguate risorse pubbliche che nel passato hanno finanziato la Portualità con leggi di settore. Il rilancio e lo sviluppo dei nostri porti è possibile in forme nuove e inedite di integrazione tra Portualità e Logistica, che liberano e favoriscono l’apporto anche di risorse private, unitamente alla previsione dell’Autonomia Finanziaria dei porti, da sempre ritenuta il pilastro di un’effettiva riforma. Qui i nodi con il Governo in effetti sono ancora tutti da sciogliere, ed oggi è più che mai necessario che tutto il settore in tutte le sue componenti non ceda alle congetture fantasiose di chi forse guarda le cose come dal buco della serratura, dando più importanza a quello che immagina piuttosto che a quello che è.
Ci sono certo differenze che non sono semplicemente semantiche tra la logica dei distretti logistici, avanzati dal ministero e decretati dall’alto, e quanto noi riteniamo sia invece da privilegiare, e cioè una costruzione dal basso dei sistemi logistici portuali. Infatti, noi siamo convinti che solo un approccio dal basso permetta la flessibilità sufficiente e capace di generare forme di Parternariato Pubblico-Privato, strutturate direttamente sui flussi delle merci con sistemi di integrazione logistico portuale non necessariamente omogenei territorialmente. Avulsi e rigidi quadranti geografici o amministrativi non possono generare tutto ciò.
Siamo perché il Governo offra uno schema di gioco e un tempo congruo di realizzazione concreta del modello di governance sull’intrapresa territoriale, prevedendo incentivi o premialità per le realtà che lo condividano e lo realizzino e penalità per quelle che lo ostacolano o assumino un atteggiamento inerziale. Insomma, un modello secondo il quale le istituzioni siano chiamate ad esercitare il loro ruolo di pianificazione e regolazione ed i soggetti dell’intrapresa privata siano chiamati a sviluppare i traffici, in una chiara distinzione di ruoli e di funzioni in cui le autorità portuali siano riconosciute i naturali enti costitutivi dei sistemi logistici portuali e ad ogni soggetto istituzionale sia riconosciuto valore alle proprie competenze e responsabilità ed al proprio protagonismo.
Per completezza di informazione mi corre l’obbligo di precisare che non sono stati oggetto di confronto temi quali le concessioni, il regime doganale delle merci e la manodopera portuale, ancorché forse ve ne potrebbe essere la necessità qualora si raggiungesse un’intesa sui punti precedentemente illustrati.
I nostri propositi sono stati avanzati al Ministro dopo averli rappresentati in una riunione promossa dal Partito Democratico il primo aprile scorso di fronte a soggetti rappresentativi del cluster marittimo portuale e logistico.
A quei propositi e a quelle proposte il Partito Democratico si ritiene impegnato, consapevole di aver sfidato sul terreno della modernità e dello sviluppo l’originaria proposta avanzata dal Ministro.
Sen. Marco Filippi
Capogruppo per il Partito Democratico in Commissione Trasporti e Infrastrutture del Senato