In allegato il comunicato stampa relativo alla posizione di Federazione del Mare sulla procedura di infrazione in tema di applicabilità della tassazione fiscale sulle entrate (canoni di concessione e autorizzazione all’esercizio di impresa portuale) delle Authority

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Federazione del Mare: il sistema marittimo italiano vede con grande allarme le possibili iniziative europee sulla fiscalità nei porti e denuncia le gravi conseguenze che potrebbero derivarne per l’economia di trasformazione di un paese caratterizzato da scarsità di materie prime, come il nostro.

Roma, 17 Aprile 2018 – Il cluster marittimo italiano, riunito dal 1994 nella Federazione del Mare, guarda con grande allarme al possibile incremento dei nostri costi portuali conseguente alle iniziative degli uffici della Commissione europea: si ha infatti notizia dell’eventualità di una procedura d’infrazione a proposito della mancata imposizione fiscale sui canoni di concessione e autorizzazione percepiti dagli Enti pubblici che amministrano i nostri porti, dandone in concessione le banchine a operatori privati, cioè le Autorità di sistema portuale (fino al 2016, Autorità portuali).

L’incremento di costo che ne deriverebbe andrebbe nel senso opposto al recupero di competitività che la Federazione del Mare chiede per i porti italiani e avrebbe conseguenze fortemente negative sulle stesse capacità produttive dell’industria nazionale: l’Italia è infatti un grande paese manifatturiero con poche materie prime, un’economia di trasformazione che si approvvigiona per lo più via mare dall’estero e i cui prodotti vengono esportati spesso oltremare.

L’Italia importa oggi per mare attraverso i nostri porti 200 milioni di tonnellate di merci e ne esporta 70 milioni (Eurostat 2016). A ciò si aggiunge il trasporto marittimo interno di merci, che si situa attorno ai 95 milioni di tonnellate. Complessivamente, per i porti italiani passano annualmente 480 milioni di tonnellate di merci: tra queste,180 milioni di merci liquide, 70 milioni di tonnellate di rinfuse solide, 220 milioni di merci varie (di cui, 95 milioni di tonnellate su rotabili e 120 milioni in container). In questa enorme quantità di merci che si sposta attraverso il sistema marittimo e i porti, ci sono parte delle fonti energetiche fossili, come greggio e gas, e poi merci che interessano direttamente la nostra produzione manifatturiera: prodotti petroliferi raffinati, manufatti in metallo, prodotti agricoli e alimentari, minerali, prodotti chimici e articoli in plastica e gomma, materiali edili, legno e carta, prodotti a elevato valore aggiunto come apparecchiature e macchinari, mezzi di trasporto, mobili.

Né bisogna dimenticare che il turismo interno e internazionale gioca e giocherà sempre di più un ruolo chiave nello sviluppo italiano: oggi i movimenti dei passeggeri nei nostri porti superano i 45 milioni, di cui 11 milioni relativi ai crocieristi. Anche questo traffico di persone transita attraverso i nostri porti e i concessionari che vi operano.

Non può sfuggire pertanto che, per un’economia così integrata nelle attività marittime internazionali, come quella italiana, e per un paese dalla forte dimensione insulare qual è il nostro, aumenti nei costi portuali avrebbero conseguenze del tutto negative sull’andamento dei prezzi e sulla crescita. Per questo, il cluster marittimo chiede al Governo un’attenta valutazione politica della questione e una reazione adeguata

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